Seattle, Washington, USA.
11 Agosto 1969
Bpov
“Bella, ti prego, ripensaci. E’ troppo pericoloso, è insensato, è assurdo ed è ridicolo. Non so nemmeno come sia potuta venirti in mente un’idea del genere. Non funzionerà mai. Io non sarò in grado di farlo, non ti posso sostenere in questo. Non ce la faccio. E se ti accadesse qualcosa? Non sai nemmeno dov’è Bethel, o com’è, o che gente incontrerai. Non puoi farlo, è una follia.”
Angela è qui con me nel micragnoso appartamentino che condividiamo vicino al Campus, mi segue come un’ombra, mentre io cerco di infilare nella sacca tutto quello che può servirmi. Niente di quello che dirà potrà farmi cambiare idea. Ho l’occasione perfetta. Due piccioni con una fava. Il viaggio della vita, una possibilità unica ed irripetibile. E la compagnia dell’uomo più sexy, bello, affascinante che esista al mondo e che mai esisterà-
“Cos’è quel sospiro? Oh, no.”
“Angela…”
“Cazzo, che stupida! Stupida, stupida, stupida! Come ho fatto a non collegare i puntini?! Bella. Il Professor Cullen sta per sposarsi! Come… oh, no. No, no, no! Sei, s-sei stata a letto con lui?!”
A letto con lui… magari! Se ci fossi riuscita, a quest’ora staremmo ancora nel letto. E ci rimarremmo, vediamo un po’, tipo… per sempre! Ma non posso dirlo ad Angela, lei sa della mia lievissima infatuazione per Edward, il professore di Lettere Moderne più bello del creato… mai al mondo le Lettere sono state così interessanti.
“Cosa?! No! Ma che dici? Edw- Il Professor Cullen non c’entra niente. E’ solo una coincidenza che-“
“Edw! Ora vaneggi pure chiamandolo per nome! Una coincidenza! Non mi freghi, carina. Il Prof. parte e tu parti. Oh! Che incredibile coincidenza! E fate la stessa strada! Che casualità, eh? E se tuo padre lo venisse a sapere? E soprattutto, il Prof. lo sa?”
Se non lo sa, vuol dire che è tonto. Ma lui non è tonto, è l’uomo più intelligente del mondo.
“Ma di che parli? Senti Angela, voglio solo andare a quel dannato concerto, tutto qui.” E far cambiare idea sul matrimonio al sexy Prof. Non so ancora bene come, perché sembra piuttosto preso dalla faccenda, ma, cazzo se non ce la metterò tutta.
“Sì, sì, il concerto. Certo. Vedo che alle pareti hai i poster di Jimi Hendrix, Joan Baetz e oh… strano! Non ci sono! Guarda, guarda… toh! Un’altra coincidenza! Una gigantografia della foto di gruppo della classe di Lettere con il Professor Cullen piazzato al centro in tutta la sua gloria, oh… tutti sorridono e tu? Tu, invece, sei l’unica voltata dalla sua parte. E sorridi!”
Già. Merda. Non me ne ero nemmeno accorta. Sì, se non lo sa, vuol proprio dire che è tonto.
“Ero voltata verso Newton.” Sbuffo.
Angela si butta malamente sul letto scoppiando in una fragorosa risata. Non credo sia divertita però, sembra alquanto esasperata, invece.
“Newton! Per piacere! Newton ti fa l’effetto di un verme, quando non ti fa schifo, ti fa schifo.” Si rimette seduta sul letto come se le fosse venuta in mente un’idea. Una brutta idea da quel che posso vedere nella sua espressione. “Quindi… tu… aspetta… se non vai con il Professor Cullen, come vai? Non hai i soldi per l’aereo, hai a malapena quelli per nutrirti. Vai in Pullman? Ci metterai un secolo…”
“Non vado in pullman, vado in macchina.”
“In macchina? E con chi?”
“Mmh… con nessuno. Farò l’autostop.”
“COSA?! Sei impazzita? Non puoi farlo! E’ troppo pericoloso! Ci sono un sacco di maniaci in giro e tu finirai… finirai… finirai…”
“Angela! Smettila! Non finirò! Vedi di non farti prendere una sincope. Tieni,” Le butto una bustina di marijuana sul letto. “Fumati questa e vedrai che tutto ti sembrerà bellissimo.” Le dico in maniera annoiata.
Balza via dal letto come se le avessi tirato una bomba. “Ah! Oh mio Dio! Cos’è? Droga?! Sei ammattita? Chi te l’ha data? Da quanto ne fai uso? Tuo padre lo sa? Perché diavolo non me l’hai detto che ti fai? Oh no. No, no. Tu ora vieni con me, ti porto all’ospedale e ti faccio disintossicare-“
“Angela! Piantala! Ti prego! Non mi faccio, se proprio lo vuoi sapere. Non ho mai fumato nemmeno le sigarette, figurati se mi metto a fare le canne! Me l’ha data Newton,”
“Ha! Il verme! E ti pareva!”
“Non so nemmeno io perchè l’ho presa. Forse ho pensato a questo viaggio, forse ero incuriosita, forse ero triste, forse… non lo so! Magari la provo, non è roba pesante, magari-"
“Magari sei diventata matta?!”
Ci guardiamo per un momento, cercando di capire cosa fare l’una dell’altra, e ad un tratto lei si avventa su di me in uno stretto abbraccio.
“Oh, Bella… ti amo più di una sorella e lo sai. Non voglio che ti succeda niente. Impazzisco all’idea che ti possa accadere qualcosa. Non c’è nulla che io possa fare per farti cambiare idea? Ti prego, dimmi di sì…”
“Oh, tesoro… no.”
Si stacca da me spingendomi indietro bruscamente.
“Accidenti, Bella. Beh, io non ti copro. Se chiama tuo padre-“
“Se chiama mio padre, menti! Ti prego Angela. Solo per questa volta. E’ importante per me. Devo farlo. E’ un’occasione unica. E’ l’unica scusa che ho per…”
Alza un sopracciglio mentre si mette a braccia conserte. “Per?”
“Per… per… per e basta. Senti, ti prometto che andrà tutto bene e ti telefonerò di tanto in tanto, ok? Se chiama mio padre digli che lo richiamo e io… beh, lo richiamo, ok?”
“Ok.” Sbuffa arrendendosi all’evidenza.
Sono pronta. L’abbraccio di nuovo per salutarla.
“Ti voglio bene Ang.”
“Anch’io, testa di rapa. Dimmi di nuovo perché è tanto importante per te.”
La lascio avviandomi verso la porta, poi penso alla sua richiesta e mi volto camminando all’indietro.
“Perché ho capito cosa voglio. E sto andando a prendermelo.”
***
Il cortile antistante la facoltà è vuoto.
Bella forza, siamo in piena estate, non è di certo il sogno della vita passarla qui. Anche se conosco qualcuno che effettivamente lo farebbe.
Mi guardo un po’ intorno, protetta dal buio della sera. Sta andando tutto secondo il mio brillante piano. Mi sento come 007 a passare radente i muri e tra le poche auto parcheggiate appartenenti ai membri della facoltà, che stanno partecipando alla festa in onore di Edward e del suo imminente matrimonio.
Ho calcolato tutto. Non faccio altro che pensarci dall’ultimo giorno di corso…
La lezione era finita e Il Professor Cullen battè le mani.
“Bene, ragazzi. Sapete cosa fare ai test. Mi aspetto grandi cose da voi. Ora andate, ubriacatevi,” La classe eruttò in risate, applausi e fischi. “Fate l’amore,” Il boato divenne più forte. Il loro. Il mio fu un gemito a voce alta, pensando con CHI avrei voluto fare l’amore prima degli esami. E non potei trattenere i miei pensieri che ora visualizzavano me a cavalcare, ubriaca, il Prof. sulla sua cattedra, magari davanti a tutti, in perfetto stile Peace & Love. “E state attenti a non fare cavolate.” Ci fu un fugone generale, mentre io mi prendevo tutto il tempo per sistemare le mie cose e guardarlo di sottecchi.
“Edward! Ho saputo! Congratulazioni! A quando le nozze?”
Nozze? Cosa?!
Mi voltai apertamente verso il Professor Johnson, che stringeva la mano al mio felice, sorridente, lievemente rosso in viso, Prof.
“Eric, grazie. Il 16 Agosto. Tanya ha organizzato tutto in modo da sfruttare la pausa estiva per poi volare in Messico per il viaggio di nozze.” Disse con una smorfia sul viso.
E direi che ci sta! La smorfia, intendo!
“Volare? Ti sei fatto convincere a prendere l’aereo? Wow, dev’essere proprio un grande amore!”
“Eh sì. Tanya è una donna straordinaria. Dovrò prendere dei tranquillanti, ma… suppongo che ne varrà la pena.”
“Comunque per andare a New York dovrai prendere l’aereo, no? Ti servirà come allenamento, magari.”
“No, vado in macchina, ci metterò un po’, ma mi darà modo di partire con comodo e arrivare lì due o tre giorni prima delle nozze. Partirò la sera dell'11, dopo la festa.”
“In macchina? Ci vorrà un’eternità.”
“43 ore e mezza. Senza traffico. E tanto tempo per riflettere, amico mio.”
Era ancora un po’ accigliato mentre rispondeva al collega ancora esterrefatto. Evidentemente l’aereo per Edward era proprio un no-no imperativo, ma la ‘donna straordinaria’ l’aveva fatto cedere. Stronza. Io non gli avrei mai fatto una cosa del genere. Lo vedevo persino da qui, sentivo perfettamente il disagio che provava al solo pensiero di volare e lei, pur di andare dove voleva, lo riempirà di tranquillanti.
Provai fastidio. Vari fastidi, in verità.
Primo: le nozze, della serie Nuooooooooooo!
Secondo: non l’avrei rivisto fino all’esame.
Terzo: stava per fare una cosa controvoglia.
Quarto: magari anche il matrimonio lo fa controvoglia.
Quinto: sì, certo. Arrossisce al solo pensiero della prima notte di nozze ‘controvoglia’, vero?
Sesto: e che vuol dire? Magari arrossisce per il disgusto.
Settimo: smettila.
Ottavo: non mi ha nemmeno guardata. Due cazzo di ore per vestirmi come una troia al bordello e lui non mi ha nemmeno degnata di uno sguardo.
Nono: sto male… non può sposarsi! Non può! Deve sposare me!
Decimo: devo organizzare un piano.
Undicesimo: devo-
“Swan?”
Mi scuoto dal mio folle elenco, al suono della sua voce carezzevole. Ora è un po’ roca, strano, prima non lo era.
“Oh! Sì, Prof.? Ah… con-congratulazioni.” Deglutisco a vuoto, quando guardo il suo viso accigliato che mi squadra velocemente. Oh… beh, almeno ora mi ha guardata.
“Ah… sì. Grazie. Che ci fai ancora qui? Non hai fretta di scappare anche tu?” Si riprende mettendo su la sua solita tranquilla, rassicurante e un po’ intimidatoria faccia da Prof.
Scappare? Oh sì… sì… 16 agosto, eh? Mmh… New York… bene, bene…
“Io sì. E lei?” Oh, mi è venuta la voce sexy! Wow, ed è stato del tutto naturale! Vedi Prof? Tu mi fai diventare sexy senza sforzo! E capirai, questo qui farebbe diventare sexy anche le sedie rotte di quest’aula.
Assottiglia lo sguardo, ma poi riprende la sua postura naturale, la solita da Prof.
“Mi aspetto grandi cose ai test da te, Swan.”
“Ho già i mei piani… Ci vediamo, Professore…”
Oh, bene. Ecco il pick-up Chevrolet di Edward. La parte posteriore è già carica dei suoi bagagli e ha teso la copertura morbida. Benissimo. Posso nascondermi e mettermi comoda senza essere vista.
Mi faccio spazio tra le due valige e una sacca che come la mia ha visto tempi migliori, stendo la mia coperta, sistemo la mia sacca con i vestiti a fare da cuscino e nascondo in fondo al vano la mia chitarra. Sono eccitatissima! Questa è l’avventura della mia vita e se va come dico io… non portarti sfiga Swan, mettiti comoda e prenditi quello che viene, come viene.
***
Vengo svegliata da un forte scossone.
All’inizio fatico a capire dove sono, ma subito dopo mi viene in mente e non posso fare a meno di sorridere. Lo scossone dev’essere stato per una buca sull’asfalto. Mi duole tutto. Dormire sul vano posteriore in metallo di un pick-up non è poi così romantico come avevo immaginato.
Cerco di sbirciare da una fessura della copertura e mi accorgo che è quasi l’alba. Vedo alberi e niente case, chissà dove siamo. Sono passate almeno sei ore, forse siamo usciti dallo Stato di Washington. E’ ora che riveli la mia presenza al Prof.
Mi sudano un po’ le mani mentre cerco di staccare un pezzetto di copertura dalla parte del vetro retrostante l’abitacolo, ma ci riesco e mi ci infilo in mezzo.
Vedo Edward passarsi una mano fra i capelli, forse è stanco, è un gesto che fa spesso, soprattutto quand’è nervoso. Sarà nervoso in questo momento? Pensa quando mi vedr-
“OH! PORC…!”
Ops. Mi sa che mi ha vista dallo specchietto retrovisore.
L’auto sterza bruscamente per poi fermarsi di colpo. Devo reggermi per non venire sbalzata malamente di qua e di là.
Oh, merda. E’ furioso.
Lo vedo scendere sbattendo lo sportello, che rimbalza senza chiudersi, e avvicinarsi con furia.
Non so se eccitarmi o aver paura che mi uccida.
Devo cercare di rabbonirlo, ma tutto quello che mi viene in mente è fargli un debole cenno di saluto con la mano.
“Swan?! Che cazz- che cavolo ci fai nel bagagliaio della mia auto?!”
“Eh… Come sta, Professore?”
“Co-come sto?! Sto sognando. Mi sono addormentato e sto sognando. Magari sono morto. Lo sapevo che non dovevo partire di notte.” Si agita e si gira intorno come per cacciare via un brutto pensiero.
“Non credo. Cioè, io dormivo, ma credo di essere sveglia ora. Quindi suppongo che sia sveglio anche lei. Non è che le andrebbe di liberarmi da quest’affare, così posso scendere?” Chiedo timidamente.
“Liberarti? Oh no, no, no. Io ti riporto a casa!”
“No! Ti prego, lasciami spiegare, Edward! Ti posso chiamare Edward, vero? Tanto ormai il test l’ho superato, e brillantemente, aggiungerei! Non siamo più all’Uni, quindi possiamo darci del tu, eh? Ora mi aiuti? Eh?”
Mi guarda allibito. Ha un sonno tremendo, si vede, ha gli occhi un po’ gonfi e i capelli più strapazzati del solito.
“Per favore?” Peroro la mia causa assumendo un’espressione che spero lo intenerisca.
Nient'affatto intenerito, si allunga per slacciare la copertura in modo che io mi possa liberare, poi mi prende per la vita e mi aiuta a scendere dal fianco del pick-up. Gli metto le mani sulle spalle, cercando di non lasciarlo - mai più possibilmente - e mi lascio scivolare su di lui perché non sono sicura di reggermi bene sulle gambe, dato che mi sento abbastanza incriccata. Poi ci ripenso e mi do della demente da sola per mentire a me stessa anche nel pensiero.
La sensazione è semplicemente divina. Ho la pelle d’oca, i capezzoli duri e il fiato corto. Non mi sono mai sentita così. E’ l’alba anche per il mio corpo, a quanto pare.
Lui mi scosta quasi subito, ma non prima che io possa aver udito chiaramente un mugugno uscirgli direttamente dalla gola.
“Buongiorno.” Cerco di sorridere.
“Sali in macchina.” Comanda, mentre torna al posto di guida.
Oh no… devo agire, e in fretta.
Mi accomodo nel lato del passeggero accavallando le gambe vistosamente. Ho degli shorts che sembrano più delle mutande che dei pantaloncini di jeans, un gilet coloratissimo allacciato sul davanti con una stringa di cuoio che ovviamente non lo chiude completamente, dato che è super stretto, e degli zatteroni altissimi per rendere le gambe più sexy. Cosa che lui assolutamente nota. Per un attimo. Solo per una frazione di secondo. Ma la nota eccome.
Uno a zero per me, Prof.
Uno a zero per me, Prof.
“Stavi andando in spiaggia? Perché diavolo ti sei conciata così? Avrai avuto freddo lì dietro, così… così… scoperta.” Parla mentre guarda la strada.
“E’ l’11 agosto. Anzi, il 12 ormai e mi sono portata una coperta, sono stata benissimo, non preoccuparti. E questo è quello che indosso d’estate quando non vado a scuola, è comodo e mi fa sentire libera. Solo questo, niente biancheria. Dove siam-”
Non faccio in tempo a finire la domanda che sembra perdere il controllo dell’auto per un attimo.
“Ouch! Hey! Sta attento! Sei sicuro di avere la patente?”
Apre e chiude la bocca più volte, poi respira profondamente strizzando gli occhi.
“Ho fame.” Dice come se fosse una minaccia.
***
Siamo seduti al bar di una stazione di servizio e io sto divorando i pancakes più buoni della terra.
“Mmmhhh!” Che goduria. Pancake e Edward. Posso anche morire felice, ora.
Edward è piuttosto sbadato stamattina. Prima la brusca manovra e ora ha fatto cadere la forchetta per la seconda volta. Bah!
“Bene. Dopo che ti sarai rifocillata a dovere, ti riaccompagno a Seattle.” Dice dopo essersi schiarito la voce.
Ora sono io a far cadere la forchetta.
“Cofa?!” Deglutisco a fatica l’enorme boccone. “Non puoi riaccompagnarmi a Seattle, siamo in pieno Idaho, non ti conviene tornare indietro, non arriverai mai in tempo per le… nozze. Non ti darò nessun fastidio, vedrai. Potremmo fare a turno per la guida, così arrivi fresco e riposato e comunque dobbiamo fare la stessa strada, dato che io devo andare a Bethel.” Mi infilo in bocca un altro pezzetto di dolce tanto per tenermi occupata in attesa della sua reazione.
“Bethel? Oh… Woodstock.” Sorride in comprensione.
“Fì! Ma ci penfi? Ci faranno fuffi! E’ un evenfo unico! Farà grandiofo! Opf, fcufa.” Parlando ho sputacchiato pezzetti di pancake. Molto sexy, Bella. Brava.
Ridacchia. “Ah sì? E sentiamo, chi c’è di così tanto interessante da farti infilare di nascosto nella mia macchina? Quali sono gli artisti che vuoi vedere? Mh?” Mi interroga con aria di sfida mentre appoggia le spalle sullo schienale della panca in vinile portandovi entrambe la braccia sul bordo.
“Oh, beh…” Ma che cazzo ne so? “Suppongo tutti. Io sono una grande estimatrice del rock, sai, Jimmy Hendriff, Joe Santanna, Clearance Clearwater Revenge, tutti quelli lì insomma.” Evvai! Mi sono ricordata un po’ di quei nomi che ogni tanto Angela mi spiattella dicendomi che faccio un sacco di confusione! Hurrà per me!!!
“Ah.” Mi squadra con aria divertita, con tanto di sopracciglia alzate e annuendo ripetutamente col capo. Visto? Sei sorpreso, eh? Sono forte o no?
“Se intendi, JIMI HendriX, CARLOS Santana, con una enne, e i CREEDENCE Clearwater RevIVAL, che non è una vendicativa ditta di traslochi, sono sicurissimo che sarà un bello spettacolo, mia grande estimatrice del rock.” Ride.
“E io che ho detto? Quelli lì! E’ che stavo ancora masticando. Hey! E tu come mai li conosci? Credevo che voi Prof. ascoltaste solo musica classica.”
Mi ha sorpresa quando mi ha corretta così precisamente. E mi eccita da morire sapere che ascolta musica così ribelle.
“Io ascolto tutta la musica. Classica, Jazz, Rock, Pop, Canti Gregoriani, dipende dall’umore.”
“Canti Gregoriani? Davvero? Che umore hai quando ascolti quella roba?”
“Mi aiuta a meditare.”
“Tu mediti? Wow! Voglio farlo anch’io! Puoi insegnarmelo? Funziona?”
Ride di nuovo. “Se fatto correttamente, sì.”
Stavolta sono io che mi allineo allo schienale della mia panca. “Perché hai bisogno di meditare Prof.?”
Si rabbuia all’istante. Merda, non dovevo essere così invadente.
“Si è fatto tardi. Devo riportarti a casa.”
“Ma… io credevo fossimo d’accordo… non ti va di viaggiare con me?” Chiedo quasi supplicando.
Lui prende fiato e quello che ne esce fa un male cane.
“No.”
“Oh. Ok. Non c’è problema. Sono maggiorenne e posso fare come voglio. Ci vediamo Edward. E tanti auguri per il matrimonio.”
Sono una cretina. Che cavolo mi aspettavo? Che Edward finalmente mi vedesse, si innamorasse e mi sposasse nella cappella più vicina? Povera illusa. Non ti ha mai filata, non comincerà certo ora. Non adesso che sta sposando la ‘donna straordinaria’. Tanya. Scommetto che Tanya non sa assolutamente che razza di culo ha a sposarsi Edward. O probabilmente sì, visto che lo fa.
“Aspetta, dove vai?” Mi chiede allarmato, ma io sono già al bancone a pagare la mia parte di conto e a chiedere dove posso prendere un pullman.
“C’è un autobus che va a Billings, ma passa tra un paio d’ore, bellezza.” Mi risponde il cassiere.
“Hey, ti serve un passaggio? Io vado da quelle parti. Se vuoi, puoi venire con me…” Mi volto al tocco lascivo che sento sul mio braccio. Dev’essere un camionista. Un camionista con la faccia da galera.
In un brevissimo lasso di tempo penso a tutte le possibilità. Che poi, in realtà, si riducono solo a una: se Edward vuole riportarmi indietro contro la mia volontà, mentre invece io voglio andare avanti contro la sua volontà, cioè, non è che voglia andare avanti contro la sua volontà davvero, vorrei che io e lui avessimo le stesse volontà, ma di fatto non collimano, quindi devo obbligarlo ad andare di sua volontà, forzata, ma di sua volontà in ogni caso, avanti, e se arriviamo a Billings, nel bel mezzo del Montana, non potrà più pretendere di riportarmi indietro. Spero. Forse.
Non mi sono capita bene nemmeno io e infatti agisco prima di sbrogliare la matassa delle volontà.
“Oh sì! Grazie! Andiamo?” Gli afferro il braccio e lo trascino fuori.
“Isabella! Fermati!” Il suo tono imperioso mi fa cose, ma devo rimandare i pensieri lussuriosi a più tardi, se voglio proseguire con il mio brillante piano.
“Uff, senti carino, mi puoi liberare da quello lì? Non vuole sentire ragioni!” Mi rivolgo annoiata all’energumeno. Magari gli basta guardarlo storto…
Ma il troglodita si gira di scatto e gli piazza un pugno di piatto su uno zigomo.
“Fatto bellezza. Andiamo.” Il tizio batte le mani come per spazzolarsele dalla polvere in eccesso.
“Oh! Ma guarda che hai fatto!” Mentre mi trascina via, piagnucolo pensando a quel capolavoro di zigomo così maltrattato. Speriamo che non sia rotto. Sto tizio è da denuncia al Dipartimento delle Belle Arti!
“Scusa Edward, ma… tu volevi lasciarmi sola, eh, lo vedi cosa succede SE MI LASCI IN BALÌA di me stessa? Eh? Capito Edwarddd?” Gli faccio mille cenni con occhi e viso per fargli capire che sono in pericolo. Speriamo che colga l’indizio, ma non ne sono sicurissima, dato che è ancora steso a terra con una mano sulla guancia e con occhi infuocati dalla rabbia.
“Allora, andiamo a Billings? A BILLINGS? HO CAPITO BENE???” Urlo mentre il tizio mi solleva per farmi sedere sull’enorme TIR, perché se Edward in questo momento è rimbambito dal cazzotto e non si ricorda dove andiamo, saranno cazzi amari.
Il tizio parte e io cerco di guardare all’indietro per vedere se Edward è caduto in trappola.
“Hey, bellezza, Io sono Bill, tu sei?”
Ah, favoloso. Hulk vuole fare conversazione. “Uh… Angela. Mi chiamo Angela.” Mormoro continuando a guardare nello specchietto laterale. Sì!!! Ci sta seguendo! Grande!!!
“Ah, credevo che quell’idiota che stava con te ti avesse chiamata Isabella.”
“Ah… no… ha detto mia bella, come bella mia, o qualcosa del genere.” Mi invento mettendomi comoda ora che so che almeno fino a Billings ci arriviamo.
“Beh, bella lo sei davvero.” Cerca di accarezzarmi una gamba.
“Hey. Ti ho chiesto un passaggio e solo un passaggio. E sappi che sono cintura nera di Karate, quindi goditi la mia compagnia e arriviamo a Billings senza casini, ok campione?”
“Ok, ok.”
Prima che provi qualche altra viscida tattica cerco di distrarlo.
“Allora, il viaggio è lungo. Parlami di te, fenomeno.”
“Puoi dirlo forte, bellezza. Sono un fenomeno, lo sai che nel ’65 ho vinto il torneo…”
Ah! Tutti uguali. Un complimentino piazzato lì, anche se assolutamente incredibile, e subito chiacchierano di se stessi.
Uomini.
***
Arriviamo in una stazione di servizio alle porte della città e prima che Superman tenti l’ennesimo approccio, scendo dal camion e vado alla toilette, sperando che Edward mi veda e mi venga a prendere. Altrimenti, come pensavo prima, sono cazzi.
Faccio pipì e mentre mi lavo il viso, sento Edward battere alla porta.
“ISABELLA! ISABELLA! ESCI SUBITO DA LI’!”
Mi asciugo in tranquillità ed esco mettendo su il mio più angelico sorriso.
“Oh, Edward, ma che sorpresa.”
“Sorpresa un cazzo! Piccola, insolente ragazzina! Andiamo!” Mi afferra per un braccio e mi trascina verso l’auto parcheggiata casualmente davanti alle toilettes.
Io sono felice come a Natale! No, Natale non è abbastanza. Capodanno! No, a capodanno ho sempre un dopo sbronza terrificante. Il mio compleanno! No, quest’anno non c’era nemmeno Angela per il mio compleanno e io sono finita sbronza sul letto, dopo aver festeggiato da sola con un’intera bottiglia di… boh, e chi si ricorda. Ok! Sono felice come mai in vita mia! Ecco, questo va bene! Ho Edward che mi stringe il polso, un po’ troppo, ma è sempre un contatto, è arrabbiato e quando è arrabbiato mi si accendono tutti i campanellini che ho sparsi per il corpo in prossimità delle mie zone erogene e in più, ho vinto io! Si va a Woodstock!!! Sono felice! Felice, felice, felice!
Ma non glielo posso mica dire. Eh no.
“Mh, che coraggio. Parcheggiare di fronte al bagno delle signore per non farsi vedere dal camionista focoso.”
“Ha! Focoso! Quello è un delinquente patentato, ecco cos’è!” Mi sbatte dentro la macchina senza tante cerimonie sbattendo lo sportello violentemente. Poi sbatte anche il suo. Mh… speriamo che non smetta con la storia dello sbattere.
“Ti ha toccata? Ti ha messo le mani addosso? Cos’è successo in quel camion? E si può sapere che diavolo ti è saltato in mente di andare via con quell’avanzo di galera? E se ti fosse successo qualcosa? Sei pazza? Perché diavolo non mi sono accorto dai tuoi test che sei fuori di testa?”
Parla concitatamente mentre sgomma per rientrare in strada. Ha il fiato grosso, gli occhi sbarrati ed è super agitato. Wow… sarà per la paura di Hulk, oppure ha avuto paura per me?
“Awww, su, su, non agitarti adesso. Tranquillo non è successo GRANCHE’ sul camion, abbiamo fatto solo un po’ di conoscenza reciproca…” Ah, cazzo. Sono più stronza di quel che credevo, ma mi sto divertendo troppo!
“Cosa?! Che vuol dire conoscenza reciproca? Cosa… cosa… cosa avete fatto?!” La sua voce assume una nota isterica piuttosto alta. Molto bene…
“Fatto? E cosa vuoi fare su un camion? Non è che ci si possa inventare molto, sai.”
“Cristo, Isabella! Sono impazzito ad immaginare che… che…”
“Che? Cosa esattamente hai immaginato, Edward?” Mi giro totalmente dalla sua parte, sistemandomi comodamente, perché questa risposta me la voglio proprio gustare.
Ma lui non parla subito, ha ancora lo sguardo da pazzo mentre vedo chiaramente che cerca la risposta adeguata. Merda, questo vuol dire che ragionerà e non mi dirà quello che speravo.
Infatti il suo tono si fa più controllato dopo aver preso un paio di respiri.
“Avrebbe potuto farti del male.”
Mh. Ok, meglio lasciar stare, l’ho stuzzicato abbastanza per oggi.
“Tranqui. Non è successo un bel niente e io sono sana e salva. Dai, fammi vedere quanto ti ha fatto male.” Mi avvicino a lui più che posso, apposta ovviamente, e gli tocco delicatamente lo zigomo destro.
“Ah!” Si scansa in fretta. “Non mi ha fatto niente, è solo un graffio.”
“Pft! Graffio! Ti ha steso con un solo pugnetto.” Lo canzono un po’, ma non mi allontano nemmeno di un centimetro.
“Mi ha colto di sorpresa, tutto qui.” Mugugna.
Oddio, quando fa l’eroe è ancora più bello.
Sorrido mentre prendo a cercare qualcosa per medicarlo in tutti i cassettini del cruscotto.
“Che stai facendo?”
“Cerco la cassetta di pronto soccorso. Sei uno preciso tu, sono sicura che ce n’è una da qualche parte.”
Sbuffa. “Mh, ce n’è una nello sportello di guida.”
Prima che possa prenderla lui, mi allungo con il busto sulle sue gambe, badando con molta attenzione di piazzargli i miei seni sul suo… il suo… il suo. Quello lì. Oh, cazzo! Non riesco nemmeno a pensarci! Tutto quel montarozzo di roba ricoperto, che lui serba per la futura sposina! Diavolo!
“Che- che fai?!” Cerca di allontanarsi, ma non può. Dove crede di andare? Il sedile è quello, non è che si può alzare a andarsene.
“Prendo la cassetta? Oh… ma dov’èèè?” L’ho trovata subito ma mi sbraccio un po’ facendo finta di cercare alla rinfusa, strusciandomi senza sosta su tutta la superficie durissima sotto di me. Oh sì… quanto vorrei sentirla tutta, sta superficie durissima. Sotto, sopra, dentro, dove gli pare, va bene tutto.
Allunga una mano e la trova subito, naturalmente. “Eccola, genio.” Ghigna. Che abbia scoperto il mio gioco? Certo che sì, polla.
“Eh, non la trovavo…” Mi risistemo in posizione seduta, approfittando dell’ormai distanza nulla. Apro la cassettina e trovo tutto quello che mi serve.
Quando gli passo il batuffolo di cotone intriso d’acqua ossigenata, non fa un fiato e sembra apprezzare le cure che gli sto offrendo. E’ una sensazione strana quella che provo. Lo sto toccando in maniera delicata, nient’affatto sensuale, ma questo contatto mi sembra quasi più intimo di un bacio.
Quindi gliene do uno.
Un lieve bacino su quello zigomo perfetto, che la piccola ferita non ha rovinato, tutt’altro, l’ha reso ancora più sexy e mascolino ai miei occhi.
Lo scatto del suo respiro mi dice che ha apprezzato.
“Uh… grazie.” E’ tutto quello che riesce a dire.
“Prego.”
Eh sì, prego davvero. Prego perché i suoi jeans sembrano strizzarlo un po’ di più ora.
Uno a zero per me… accidenti, ho perso il conto. Ok, facciamo che questo conta per dieci a zero.
Riguardo in giù, mentre lui cerca di aggiustare la sua posizione il più discretamente possibile.
Dieci a zero. Sì.
***
E’ sera quando arriviamo nei pressi di Bismark, in Nord Dakota. Edward è stanco morto e si è fermato in un motel a chiedere due stanze per la notte. Mi ha detto di rimanere in macchina perché non si fida della gente di qui. Mpf, lo ha detto mentre guardava nella mia scollatura. Ho alzato gli occhi al cielo, guadagnandomi uno sguardo tra il serio e il minaccioso. Che sia geloso? Comunque non ci penso minimamente a rimanere in macchina, anche perché se lo faccio, lui è capace di prendere due stanze separate e non esiste.
Mi affretto a raggiungerlo nella piccola saletta della reception e sono fortunata, perché prima che lui si possa arrabbiare, arriva l’addetto.
“Buonasera, mi servirebbero d-“
“Una stanza! Carina, eh? Sa, siamo in viaggio di nozze.” Sorrido al receptionist, abbracciando Edward per la vita e appoggiando al mia stanchissima testolina sul suo petto ancora per poco coperto, spero.
“Isabella-“ Cerca di scansarsi, ma io sono una vera piovra ormai.
“Aww, amore, non devi vergognarti, non c’è niente di male, ormai siamo sposati.” Faccio le moine cercando di nascondere la mia mano sinistra alla vista di occhi di falco al di là del bancone. Con mia grande sorpresa, Edward non pronuncia parola e gli vedo fare lo stesso gesto in maniera un po’ impacciata.
“Documenti?” Chiede il tizio in maniera annoiata.
Edward si irrigidisce un po’, mentre io cerco il mio nella sacca. Oh, povero, devo farlo rilassare.
Avvicino il volto al suo come per baciarlo sul collo.
“Tranquillo, sono maggiorenne.” Gli sussurro all’orecchio.
“Tranquillo, sono maggiorenne.” Gli sussurro all’orecchio.
Poi però glielo do, il bacio sul collo.
E lui non respira più.
“Stanza 205. Seguite il sentiero esterno sulla sinistra, è l’ultima stanza.”Allegria ci guarda storto allungandoci l’agognata chiave dopo averci fatto firmare il registro.
Firmo come Isabella Cullen. Perfetto...
Percorriamo la distanza in silenzio. Si ode solo il rumore dei nostri passi, il suo in perfetto stile marcia militare e il mio che szatterona rumorosamente sul percorso fatto da vecchie assi in legno. Non appena entrati e dopo che Edward si assicura di chiudere tutte le serrature che poteva, si volta verso di me. Furioso.
E sai che novità.
“Si può sapere che diavolo stai cercando di fare? Ci vuoi mettere nei guai? Come dormiamo adesso, eh? Qui c’è solo un letto matrimoniale!” Indica l’ovvio.
Lo so. Tant’è che ci sto saltando sopra. L’ho già detto che sono felice?
“E allora? E’ a due posti! Stai calmo e rilassati.” Rimbalzo in posizione seduta, sorridendogli a trentadue denti.
“Rilassarmi?! E come?! Ho passato una delle giornate più snervanti della mia vita! Prima scappi con Maciste,”
“Maciste?” Rido. “Non ti pare un paragone un po’ troppo antiquato? Qualcosa di più vecchio non c’era?” Ma lui non mi ha neanche sentito, preso dal suo svalvolare con tanto di sbracciamento scomposto.
“Poi menti spudoratamente al proprietario dell’albergo, dicendo che siamo sposati! Noi non siamo sposati! Non siamo neanche fidanzati! Non siamo-“
“Uff! Calmati Prof. Ho capito l’antifona. Non siamo. Punto. Ma converrai con me che è un bel risparmio e poi non avrai mica pensato di lasciarmi sola, no? Che succederebbe se qualche malintenzionato forzasse la mia porta e avesse libero accesso per fare tutto quello che vuole di me? Ci hai pensato? E poi ho paura. Eh.”
Rimane in silenzio ad assestare la situazione. Forse l’ho convinto. Forse capirà che sono, in fin dei conti, una povera ragazza indifesa in balìa degli eventi.
“Ha! Paura! In qualche modo dubito fortemente che ci sia qualcosa al mondo che ti spaventi. E comunque questa situazione è inaccettabile.”
“Oh, quante storie! Non eri stanco? Dai, andiamo a letto.” Vorrei dirlo con nonchalance, ma sto ancora sorridendo alla ricca prospettiva.
Apre e chiude la bocca in pieno panico, ma fortunatamente mugugna solo che va a prendere i bagagli.
Quando rientra io sono sotto la doccia.
“Edward, mi porteresti la mia sacca per favore?” Urlo per farmi sentire. Sto ancora sorridendo, immaginandomelo mentre viene qui e si arrende a me. Sotto la doccia. Poi aggrappati al lavandino. Poi sulla porta. Poi a letto. Quattro o cinque volte. Una resa piena. Ripetuta e soddisfacente. Oh… non vedo l’ora…
Invece tutto quello che sento è il tonfo della mia sacca nel pavimento del bagno e quando guardo la porta è di nuovo chiusa. Uff.
Mi preparo meticolosamente. Cioè metto solo un paio di mutandine, quelle con le fragole che mi piacciono tanto, sperando che ad Edward venga voglia di assaggiarle, e una canottierina. Quando esco, Edward rimane impietrito a guardarmi e io mi gusto il mio venti a zero.
Faccio finta di niente e mi infilo nel letto mentre lui si ritira in bagno con una delle sue borse.
“Sbrigati o perderai sonno prezioso.” Gli cantileno.
Mugugna qualcosa, ma non riesco a capire bene. Non importa, dopotutto. Però non voglio farlo sentire a disagio. Forse ho esagerato. Forse si sente costretto. Magari si sente in imbarazzo perché sono una sua studentessa e può darsi che io non gli piaccia e non sa come cavarsi d’impaccio. Accidenti, e se fosse così? Se stessi solo facendo la figura della scema? Uh… mentre ero in bagno ha anche sistemato uno dei cuscini in mezzo al letto, per lungo, a fare da divisorio improvvisato. Mh. Forse non mi vuole.
“Cazzo!” Lo sento imprecare anche da qui, con tutto lo scroscio dell’acqua della doccia. Cazzo davvero. Mi sa che ho spinto troppo e tutto quello che ho ottenuto è di averlo fatto arrabbiare. Magari ora pensa a quanto gli manchi la donna straordinaria che lo aspetta a braccia - e gambe, se non è una pazza – aperte, a New York. Fantastico.
Quando torna è… vestito. Cioè, ha una maglietta bianca e i jeans. Non capisco.
Si infila nel letto senza guardarmi, agitando bruscamente il lenzuolo.
“Che fai?” Gli dico rivolta dalla sua parte, ma lui mi dà la schiena. Una schiena perfetta…
“Dormo.”
“Vestito?”
“Sì.”
“Perché?”
“Perché sì.”
“Non è troppo igienico.” Invento. Cioè, non è igienico sul serio, ma non è che mi importi esattamente di questo, in questo momento.
“Nemmeno essere nuda in un letto di un motel è troppo igienico.” Mugugna.
“Non sono nuda. Indosso quello che uso sempre per dormire.” Tento di chiarificare.
“Fantastico.” Brontola.
No, così non va bene. Non è di certo quello su cui avevo fantasticato, ma più di tutto non è così che voglio che lui si senta con me.
Mi avvicino a lui, liberandomi dall'offensivo cuscino separatore, portando lentamente una mano sul primo bottone dei suoi jeans.
“Dai, ti aiuto io.”
“Dai, ti aiuto io.”
Senza scomporsi mi afferra il polso stringendolo forte, ma non lo sposta.
“Isabella. No.”
Rimango un momento in silenzio. Mi sento strana. Lo desidero da matti, ma non così.
“Edward, voltati.” Sussurro.
“No.” Mormora, scansandomi lentamente la mano ancora imprigionata da lui.
“Perché?” Dico in un soffio.
Silenzio. Oh no…
“Perché non sarei in grado di fermarmi.” Mormora piano.
Cerco di respirare regolarmente, ma non ci riesco.
“Allora non farlo. Voglio dire… non… fermarti.” Azzardo timidamente.
Dio, quanto lo voglio. Mai ho provato una tale emozione. Mi piaceva, sì, ho fantasticato di farmelo in mille modi, sì, è bello da morire, è un insegnante da sogno, è sexy in maniera quasi inconsapevole, ma quello che provo per lui adesso non è semplicemente attrazione fisica o mentale, non è semplicemente un’ossessione, perché quello che sta facendo ora… mi fa innamorare di lui ad ogni minuto che passa. Sono fregata. Mi viene da piangere. Mi sono innamorata di un uomo che non posso avere, un uomo che avrebbe potuto fottermi senza tanti complimenti e il giorno dopo andare a sposarsi con un candido sorriso sulla faccia. Ma lui non è quel genere di uomo. Lui è il sogno di ogni donna. E’ fedele ai suoi principi e alla donna che ha scelto come compagna di vita. E’ un uomo d’onore, una razza tristemente morente e oggi tanto fuori moda, ma che rimane il sogno segreto di ogni donna che vagheggia sugli uomini ribelli, quelli senza regole, ma che poi, alla fine, somigliano tanto agli eroi che sono stati i nostri papà e i nostri nonni. E’ un uomo vivace, Edward, è colto, intellettualmente e mentalmente aperto, abbraccia la cultura odierna, è un pacifista convinto e nonostante i suoi trentadue anni ha un modo di confrontarsi con i ragazzi delle sue classi assolutamente comprensivo e paritario. E’ un professore della nuova generazione, un magnifico scrittore, un nuovo Kerouac che invece di andare sulla strada e fare quello che il suo spirito segretamente gli suggerisce, sceglie di insegnare a noi ragazzi a vivere secondo il nostro credo e le nostre emozioni. Fa stragi di cuori tra le ragazze all’università, e tra le insegnanti, anche quelle più bacchettone. Ammalia tutti con il suo modo di fare, con il suo modo di esprimersi, di muoversi, con questo corpo peccaminoso che ora è di fronte a me, di spalle, magnifiche, perfette spalle… E io ci sono caduta dentro anima e corpo, senza possibilità di ritorno, qui, a guardarlo mentre mi rifiuta pur ammettendo che non vorrebbe.
Lo amo.
E non sarà mai mio.
“Buonanotte… Bella.” Il mio piccolo nome pronunciato come un dolce bacio.
Non posso chiedere di più. Devo accontentarmi di tutto quello che posso avere e se è questo, se posso dormire acanto a lui e nient’altro, me lo farò bastare.
“Ok.” Sussurro.
Però io non sono lui. Ho la forza di un moscerino, quindi mi avvicino completamente, abbracciandolo e sistemando la testa su quello che posso delle sue spalle, facendo aderire le mie gambe alle sue.
E cercando di dormire, nonostante il mio corpo sia pervaso da una lieve, continua, dolce, devastante corrente.
***
Non sono ancora del tutto sveglia, ma sto già sorridendo.
Edward sta respirando regolarmente dietro di me, con il viso affondato tra i miei capelli, una gamba sopra le mie, una mano su una tetta e la guest star dei sogni femminili di ogni donna sana di mente, piazzata perfettamente tra le mie chiappe.
La vita è meravigliosa.
Geme e si muove lievemente.
Signore, tipregotipregotiprego, fa che stia sognando di me! Fa che il marmo che sento sul mio culo sia perché pensa a me! Oh! Scusa se ho pensato alla parola culo! Sedere, ok? Ma fa che stia pensando a me!
“Bella…”
SI’!!! SI’! SI’! SI’! SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII’!!! GRAZIE DIO! Appena incontro una chiesa ti accendo un cero!
“La amo…”
COSA?! MA MERDA! Almeno nei sogni, non potrebbe dire che ama me?!
Devo riportarlo a me, almeno in sogno.
Inizio a muovermi contro di lui e non trattengo nessun gemito che esce spontaneo, direttamente dal mio torace. Il brutto è che ora sono vergognosamente bagnata senza poterci fare un beneamato, ricco ca-
“Cosa… OH, CAZZO!”
Edward vola via da me. Pft. Se potesse arriverebbe in Groenlandia, ma deve farsi bastare la parete della stanza per il momento.
Mi giro e lo vedo scompigliato, stropicciato, con occhi e labbra ancora gonfie di sonno e con la sua bella erezione in pieno atto. Oh… ha i pantaloni slacciati… chissà se sono stata io oppure lui a farlo.
“Giornooo.” Gli dichiaro alzandomi sui gomiti. Sorridendo come sempre.
“Cazzo… cazzo… cazzo…” Enfatizza la situazione piuttosto ovvia del suo stato.
“Vedo, vedo.” Lo prendo per il culo.
Lui mi guarda come per capire chi sono, poi realizza e cerca di portare le mani lì davanti.
Solo che ora come ora, ce ne vorrebbero una decina per coprire tutta quella grazia di Dio.
“Isabella, ti prego… pe-perdonami, non so cosa sia successo… io… io…”
“Non è successo niente, tranquillo, stavi solo sognando. Della tua fidanzata.” Pronuncio quell’ultima parola con malcelato disgusto.
Per tutta risposta lui si guarda intorno, imbronciato e pensieroso come per capire se quello che dico è vero.
Enuncia una serie di ‘m’ senza senso, poi , senza preavviso, si chiude in bagno.
Yee.
Cinquanta a venti per lui.
***
Non ha voluto fare colazione al motel, ed è inorridito al solo pensiero di farla in camera, quindi ho ordinato io un po’ di cose e le ho portate in macchina.
Magari lo imbocco…
La giornata è spettacolare. Quel che resta del Montana è splendido e quasi disabitato. Distese di campagna verde senza fine e l’aria è fresca e frizzante. Oggi ho scelto di mettermi una mini che non copre quasi niente e una magliettina gialla, striminzita, con la scritta in rosso: ‘Mettete fiori nei vostri cannoni. Il vostro fiore potete metterlo qui:', con una graziosa freccia verso il basso. Quando l’ha vista Edward, a momenti infartava.
“Oh… uhm… forse dovremmo fermarci per mangiare.” Asserisce mentre io cerco nel sacchetto.
“No, no. Tu continua a guidare, non possiamo perdere altro tempo. Non preoccuparti, ti faccio mangiare io.”
“E’ proprio di quello che mi stavo preoccupando.” Brontola.
“Senti Edward, è inutile che ignoriamo il grosso elefante rosa nella stanza, o in macchina in questo caso. Tu mi piaci e io ti piaccio. No, no, non ti affannare a dire niente. Ho visto e sentito quanto ti piaccio. E’ ok. No problema. Tu stai andando a sposarti e io devo stare al mio posto. Siamo entrambi adulti e vaccinati, non c’è bisogno di tutta questa tensione sessuale inespressa che porta solo alla frustrazione,”
“Non c’è nessuna tensione sessuale tra noi.” Dichiara solenne, guardandomi severamente.
“Certo. Sicuro. Continua pure a ripetertelo, magari alla fine ci credi. Oh, senti, siamo nel 1969! In pieno ventesimo secolo, hanno inventato la plastica, i computer e i razzi spaziali. L’uomo è riuscito anche ad atterrare sulla Luna!”
“Allunare, non atterrare. Terra: si atterra, Luna: si alluna.”
“Come ti pare, comunque il minimo che possiamo fare noi è accettare la realtà per quello che è e vivere felici, no? Fai finta di essere Sal, il protagonista di ‘Sulla Strada’: vivi, senti, fai le tue esperienze, facciamo finta di essere Sal e Dean e proviamo tutto! Eh?” Gli dico entusiasta.
Si gira di nuovo con quello sguardo severo, abbassando il viso e guardandomi da sotto le ciglia.
“Noi non siamo Sal e Dean, non stiamo facendo un viaggio di piacere e soprattutto non proveremo tutto.”
“Ah no? Beh, per come la vedo io, per me è un viaggio di assoluto piacere, è il viaggio della vita! E dovrebbe essere così anche per te. Stai andando a sposarti, no? Dovrebbe esserlo, un piacere intendo. Non è così? Cos’è? Sei obbligato? L’hai messa incinta?” Dico cercando di essere disinvolta, ma il solo pensiero mi sta facendo morire.
“No! No che non l’ho messa incinta! Per chi diavolo mi hai preso? E non voglio parlare di questo. Argomento chiuso.”
“Ok, ok. Non è che muoia della voglia di sapere se l’hai inseminata a dovere.” Gemo per l’invidia che ora mi starà colorando di verde, solo che il mio non è lussureggiante come quello di queste campagne, è più un colorino muffa, quello che farò io se mi metto ad aspettare di innamorarmi di un altro.
“Non… non voglio parlare con te di seme. Non-“
“Capito, capito, non ti scaldare. Tieni, mangiati un muffin.” Gli infilo un pezzetto di dolce in bocca, assicurandomi di fargli sentire anche le mie dita. Dapprima lo prende con riluttanza, poi accoglie il boccone senza tanti problemi.
Io, però, poi mi lecco le dita.
E lui si strozza.
Cento a cinquanta per me.
“Hey! Hey! Tutto ok? Ecco, bevi un po’ d’acqua.” Gli passo il bicchierino del termos che lui brama e svuota a gran sorsate.
Continuo ad imboccarlo, godendomi il piacere di trattarlo come se fosse mio e faccio finta che il suo sguardo severo ogni volta che cerco di leccarmi le dita di nuovo, sia invece lo sguardo di un uomo innamorato.
“Ho visto che hai una chitarra. Suoni bene?” Mi domanda più rilassato, ora.
“Certamente! Vuoi sentire qualcosa? Canto anche!” Gli dico contenta che si interessi in qualche modo a me.
“Volentieri. Che genere ti piace? Rock inventato a parte?” Mi chiede sfottendomi per quella storia dei nomi sbagliati degli artisti.
“Country, credo. Cioè, non è che canti esattamente come i cantanti country, invento più che altro. Mi faccio prendere dall’umore del momento. Frena, che ti faccio sentire.”
Non l’avrei mai creduto, ma lo fa.
Mi sbrigo a prendere la chitarra da dietro e mi riaccomodo sul sedile, facendo finta di accordarla mentre lui riprende la strada. La verità è che non ho mai studiato chitarra, l’ho comprata usata perché mi piacevano gli adesivi appiccicati sopra, e mi diverto a strimpellare facendo finta di essere un’eroina rock della beat generation.
“Seduta in aula a guardare teeeeeeeeeee,
mentreeee Newton guarda meeeeeeeeee,”
Uh-uh! Occhiataccia!
Centodieci a cinquanta per me.
“Pensando a come faaaarrrrrrrrrrrrrr,
per farti capitolaaaarrrrrrrrr,”
Strimpello a cazzo mentre do fiato a note senza senso. Se Edward fosse sordo penserebbe che sono una gran professionista.
“Tu parli di passato e futuuuuuuuuuurrrr,
senza curarti di nessuuuuunnn,
ma alla fine cederaiiiiiiiiiiiiii,
perché sono figa più che maiiiiiiiiiiiiiiiiiii.
Yeah, Yeah, Yeaaaaaahhh.”
Oddio, che bello che è quando ride così! Libero, felice e giovane come lo sono i suoi anni e la sua anima.
“Bella,” Sghignazza ancora. “Sei… sei… una campana! E non sai suonare nemmeno una nota!”
Passo sopra al commento poco carino, perché vederlo ridere mi apre il cuore. E tutto il resto che c’è da aprire.
“E che vuol dire? Non tutti sanno suonare bene. E comunque sono una poetessa, quindi le parole valgono più della musica.” Sorrido difendendomi, mentre appoggio la chitarra sul fondo dell’auto.
Non riesce a smettere di ridere. “Poetessa? Dovrò rivedere i tuoi voti ai test. Se questo è quello che riesci a mettere insieme e lo chiami poesia, siamo rovinati.”
“Che c’entra, stavo improvvisando. Provaci tu, visto che fai tanto il saccente.” Scherzo, ma lui sembra soppesare le mie parole. Mi guarda a lungo, beh, non tanto a lungo visto che sta guidando, ma sembra guardare molto di più di quello che è il mio viso.
Quello che ne segue è un canto leggero, sofferto, sussurrato, tormentato.
E carico di una passione che non gli avevo mai visto finora.
“E appoggiò la tela a terra
E giacque solo con lei
E a lungo giacque con quella vergine
Desiderando una purezza tutta per sé…”
Sono sopraffatta.
Sopraffatta dalla sua voce, dal suo essere, dall’amore che sento per lui, per quest’uomo puro d’animo e rinchiuso in un corpo peccaminoso. Conosco questo passo, è uno dei miei autori preferiti e non lo è perché so bene che è anche uno dei suoi, è semplicemente come se in questo istante condividessimo la medesima anima, come se stessimo occupando lo stesso spazio, chiusi l’uno nell’altra, senza possibilità, né desiderio di distacco.
Non posso fermare la lacrima che sento bagnarmi il viso.
“Edward…”
“E’… è di Lawrence Ferlinghetti. Non è mia…” Sussurra con voce roca, guardandomi negli occhi.
“Ma ora è tua.” Sussurro.
E mia per sempre.
***
Giungiamo nel Winsconsin, ad Eau Claire. Non riusciamo ad andare oltre e abbiamo entrambi un gran bisogno di sgranchire le gambe e farci una bella dormita. Il viaggio è stato… bello. Dopo la storia delle canzoni, non c’è stato imbarazzo o momenti strani tra di noi, ci siamo semplicemente goduti il viaggio, il panorama e la compagnia reciproca. Abbiamo chiacchierato piacevolmente di tutto e di niente. Ci siamo scambiati aneddoti sull’infanzia, sulle cose dell’università, abbiamo parlato di progetti e sogni. Io non ho citato il mio sogno più grande. Non posso. E soprattutto, non voglio più rovinare il viaggio ad Edward. Ho imparato molte cose su di lui oggi, sulla sua famiglia, sull’amore che prova per loro, su quello che scrive e su quello che vuole. O crede di volere.
Isabella Marie Swan. Smettila. Il Professore Emerito Edward Cullen è un uomo onesto e questo lo sapevi già. E’ fidanzato e sta andando a sposarsi. Questo è quanto. Tu sei solamente una che ha avuto la fortuna e l’onore di condividere un momento della sua vita con lui. Fattelo bastare.
Già… e poi morirò. Rinsecchita, amorfa e piena di gatti.
Troviamo un piccolo hotel, molto carino, in stile, alla periferia della città. C’è tanta gente per strada, sembra che si stiano preparando per una festa, ci sono addobbi, striscioni e allegria un po’ ovunque.
Scendendo dall’auto, Edward mi ammonisce sul mio comportamento nell’immediato futuro e con sua grande sorpresa, cedo docilmente alla sua richiesta.
Quando entra nella reception, guarda l’addetta e poi guarda me. Un paio di volte.
Ha! Si aspetta che faccia la scena di ieri sera. Ma ho promesso e sinceramente non ho più il cuore di vederlo soffrire.
Forse.
“Buonasera. Vorrei… ” Mi guarda di nuovo. “… una stanza per stanotte. Con bagno per favore.”
What?! Una stanza? Nel senso di una? Una sola? Sto sognando?
“Che stai facendo?” Gli sussurro senza farmi sentire dalla tizia.
“Che c’è? Ieri sera una stanza andava bene e oggi no?” Ghigna tirando fuori i documenti.
Sono certa che l’espressione che ora faccio sia sconosciuta a lui. E a me pure!
“Certo che sì! Ma credevo che… insomma oggi… è che ieri…”
“Siete in viaggio di nozze?” Sorride l’anziana signora.
“Sì.” Risponde lui senza incertezze.
“Oh, siete una così bella coppia. Dove siete diretti?”
“New York.” Rispondo io.
“Bethel.” Risponde lui.
Sono certa che ora la mia espressione sia più strana di prima.
“Oh…” Risponde sconcertata la signora. “Ah… beata gioventù… nemmeno io riuscivo a fare due più due durante il mio viaggio di nozze. Troppo presa da attività più interessanti.” Ridacchia.
Ora è il nostro turno di guardarla con sconcerto e tratteniamo entrambi a stento una risata.
“Ecco, vi do la stanza n. 5, è di sopra e ha un bagno. Mi dispiace per voi che le altre stanze siano già occupate, dato che c’è il Festival del Jazz in questi giorni, quindi dovrete fare piano… durante… insomma avete capito.” Sorride e ci fa l’occhiolino.
Io non lo so se sono mai diventata rossa in vita mia, ma sicuramente ora lo sono.
Nel momento in cui Edward chiude la porta dietro di se, io butto la mia sacca sul letto e metto le mani sui fianchi.
“Sei impazzito? Noi non siamo in viaggio di nozze. Non siamo sposati e nemmeno fidanzati.” Oddio, dev’essere uno scherzo. Sto ripetendo le stesse parole che Edward mi ha spiattellato in faccia ieri sera.
“E allora? Rilassati.” Si avvicina a me lentamente mentre io indietreggio. Mi ha presa di contropiede, non mi aspettavo un Edward così poco… Prof! Sembra non avere un problema al mondo e quel che è peggio è che io non ho formulato alcun piano per questa eventualità!
“Sai, Bella,” Pronuncia il mio nome come se mi prendesse in giro. “ho capito il tuo giochetto, e devo dire che stare dall’altra parte è più divertente che fare il dignitoso professore. E’ molto facile fare la parte di chi seduce, soprattutto se l’obiettivo è…” Si avvicina al mio viso, curvando il suo di poco, guardandomi la bocca… alitandomi sulle labbra…
E io chiudo gli occhi… finalmente…
“… completamente preso alla sprovvista.”
Non c’è più.
Apro gli occhi e lo trovo a trafficare con la sua borsa.
Che bastardo.
Ha! Ma se crede che i miei giochetti siano finiti, si sbaglia di grosso! Ho ancora molte armi da utilizzare, mio caro professore emerito de sta-
“Vai a farti la doccia. Stasera usciamo. C’è il festival. E’ pieno di giovanotti. Sono sicuro che riuscirai a sfogare i tuoi bollori.”
Oh! Che razza di figlio di puttana!
I miei bollori! Non ero io a cazzo dritto stamattina! Anche perché non ce l’ho, ma questo è un dettaglio.
“Ok… professore.”
Mentre vado a prendere la mia sacca, mi tolgo la maglietta e gliela buttocasualmente in testa.
“Ops.” E procedo anche a levarmi la mini, ricordandogli visivamente che non porto nessun tipo di biancheria intima.
Quando chiudo la porta del bagno, gli sento dire cose che Dio non perdonerà mai.
Cinquecento a… non mi ricordo più. Ma il mio vantaggio è ormai stratosferico, caro.
***
La festa è in pieno svolgimento quando arriviamo noi. E’ tutto molto bello, la serata è piacevole e la gente è in festa. La musica è presente in ogni angolo di strada e la birra scorre a fiumi.
Ci fermiamo ad ammirare lo spettacolo davanti ad un grande gazebo dove la gente balla e si diverte; a lato c’è un gruppo di hippies con chitarre, percussioni e strumenti a fiato, che suona vecchie canzoni riarrangiate con un ritmo contemporaneo.
Edward è estasiato. Conosce tutti i pezzi che suonano. Ride e chiacchiera con tutti.
Ad un certo punto, un tizio con cui sta parlando di musica da più di mezz’ora lo trascina vicino al gruppo di musicisti e gli dà una chitarra. Le mie sopracciglia spariscono tra i capelli, quando lo vedo accomodarsi e lo sento suonare come un vero professionista. Le sue mani scorrono svelte e abili sulle corde e non sbaglia un accordo.
Non guarda nemmeno la chitarra. E’ totalmente perso nella sua musica, alza e abbassa la testa inarcandola come per catturare un’essenza o come se fosse preda di una sostanza stupefacente. Che gli abbiano dato della roba? Guardo il mio bicchiere con sospetto, ma io non mi sento strana. Non più del solito, almeno.
Merda. Ora lo amo ancora di più.
“Hey! Ciao, mi chiamo Emmett, ti ho vista prima con quello, chi è? Tuo padre?” Mi chiede un ragazzone bruno e nerboruto. Indossa un paio di Jeans a zampa d’elefante e un gilet di pelle senza niente sotto.
“No, è il mio professore di Lettere.” Gli rispondo atona.
“Wow, fico! Ti va di ballare?” Mi chiede sorridendo. Ha un sorriso buono ed è il genere di ragazzo a cui sorridono anche gli occhi.
“C’è il festival. E’ pieno di giovanotti. Sono sicuro che riuscirai a sfogare i tuoi bollori.”
Mi tornano in mente le parole disgustose di Edward e accetto subito l’invito.
Saliamo sul gazebo e Emmett fa sfoggio di tutte le sue mosse da ballerino consumato. Mi fa girare, mi fa ridere ed è molto carino con me, senza essere pesante.
Sì, sì, ho guardato varie volte in direzione di Edward e sì, mi ha vista. Mi guarda.
Gelido e furente.
Io allungo le mani al collo del mio compagno di danze e gli sorrido dolcemente. Non c’è pericolo con lui, non mi ha sfiorato inappropriatamente nemmeno per un secondo. Lo guardo e penso che sarebbe bello se mi innamorassi di uno così.
“Posso?” Interrompe Edward improvvisamente accanto a noi.
“Hey Prof! Non so in Letteratura, ma la sua allieva balla come una dea!” Sorride giovialmente Emmett.
“Ho visto.” Mugugna Edward. “Se vuole scusarci.” Dismette Emmett con un lieve cenno del capo.
Pensavo che mi portasse via, castigandomi verbalmente ancora una volta, e invece prende a ballare con me. Un ballo lento, con tanto di mano destra alzata.
“Non guardarmi così.” Mormoro in risposta al suo sguardo di fuoco.
“Così come?”
“Come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, non ho fatto nulla di male e me l’hai detto tu di trovare un giovanotto per sfogare i miei bollori.” Assottiglio lo sguardo per rimarcare il mio fastidio.
“Non ti sto guardando in nessun modo. E comunque dubito che quel ragazzo avrebbe potuto fare alcunché in merito.” Parla guardando distrattamente tutto tranne me.
“Sei uno stronzo, Professor Cullen.” Cerco di divincolarmi senza successo perché lui stringe la presa con entrambe le mani, una nella mia e l’altra ad avvolgermi la vita, tirandomi completamente a se.
Oh… cazzo…
Annuisce più volte con aria sarcastica.
“Soddisfatta?” Mi sussurra poi all’orecchio. “E’ questo che vuoi? Vuoi sapere quanto mi fai male? Ecco. Togliti ogni dubbio.” Riprende a guardarmi intensamente, quasi con dolore, facendomi sentire quanto gli faccio male in tutta la sua gloria.
“No.” Sussurro. “Non è questo che voglio.” Cioè, anche, ma non è di questo che ora voglio parlare.
“E cosa, allora? Cosa vuoi, Bella?” Mormora, stringendomi ancora.
“Te.” Gli porto entrambe le braccia al collo, guardandolo negli occhi, arrendendomi e mandando a puttane ogni piano cretino.
“Voglio te. Voglio poter dimenticare tutto, voglio trovare quello che cerco da sempre, voglio amare l’unica persona che io abbia mai amato, anche solo per un istante, solo per una sera, in una città sconosciuta, un puntino sperduto sulla Terra che non ci vedrà mai più. Voglio poter credere che per una sera soltanto, anche tu senti quello che sento io-“
Un secondo dopo sono sopraffatta dalla più violenta delle emozioni. Le sue labbra calde si modellano dolcemente sulle mie, che rispondono immediatamente come prese da una forza superiore. Mi prende con forza e con dolcezza comandando quel bacio che ci lega come se fossimo una cosa sola. Mi succhia e mi divora portando le mani al mio viso, accarezzandomi e muovendomi al suo volere. Cambia posizione, respira, mi morde continuando quel bacio che mi sta invariabilmente marchiando come sua. Sento tutto il suo corpo vibrare all’unisono con il mio e io mi prendo tutto quello che mi dà, senza pensare alle conseguenze.
“Seee, Professore di Lettere sto cazzo…” Sento la voce divertita di Emmett che passa casualmente vicino a noi ed è l’unica cosa che ci riporta alla realtà.
Realtà che io odio.
Abbiamo ancora il fiato corto e i suoi occhi scintillano di una luce differente. Le sue labbra sono rosse e un po’ gonfie dall’ardore del bacio e io mi riavvicino a quel richiamo irresistibile, ma lui mi ferma, chiude gli occhi e appoggia la sua fronte alla mia, senza lasciarmi il viso.
“Bella… cosa mi stai facendo…” Mormora rauco.
“Ti sto amando. Lasciati amare…” Sussurro con una vocina pietosa perfino alle mie orecchie.
Mi stringe a se, portando la mia testa sulla sua spalla. Il suo respiro è irregolare, come quello di chi soffre, e sento il suo cuore battergli nel petto in maniera prepotente.
“Non posso.” Sussurra piano.
“Lo so.”
Lo so, amore mio, e non ti farò mai del male. Prenderò solo ciò che mi dai, nulla di più.
Lo so, amore mio, e non ti farò mai del male. Prenderò solo ciò che mi dai, nulla di più.
“Signor Cullen, Signor Cullen! Un telegramma da Seattle per lei signore.” Il ragazzo dell’albergo ci interrompe con aria preoccupata. Cosa che ora proviamo anche noi. Un telegramma non è mai una bella notizia. E detesto il fatto che Edward faccia sempre sapere dove si trova in qualunque momento.
Apre subito il foglio sigillato, leggendo alla svelta. Poi gli vedo comparire sul viso un’espressione di puro dolore.
“Cosa c’è?! Che è successo?!” Domando allarmata.
“No, no, no, No!!!” Esclama.
Strizza gli occhi mentre risponde alle mie suppliche. “E’ Eric, il Professor Johnson. Mi ha avvertito che Parker, uno dei miei studenti è caduto in Vietnam. Hanno riportato oggi il corpo alla famiglia.” Digrigna.
“Peter?! Oh, mio Dio, no! No!!! Non lui, non lui!!!”
Non riesco a trattenere le lacrime mentre ricordo tutto di quel ragazzo. Era lo studente più brillante dell’intera facoltà. Un ragazzo bellissimo. Partito volontario perché sentiva il dovere di farlo. Era un grande amico e una guida per tutti.
“MALEDETTA GUERRA!!!” Tuona, distruggendo il telegramma nel suo pugno chiuso per poi gettarlo in terra e scappare via.
Gli corro dietro e lo trovo appoggiato con entrambe le mani al tronco di una grossa quercia.
Ha il volto rigato di lacrime e io non posso fare nulla se non abbracciarlo e piangere con lui.
Respira affannosamente e assesta due pugni al tronco inerme, grugnendo per il dolore dell’anima e ora del corpo. Poi si volta e mi stringe forte.
“Perché…” Piange.
Ma io non ho risposta. Tutto quello che riesco a fare è trascinarlo verso l’albergo sotto gli occhi di gente che ha più che compreso un dolore che purtroppo ora è comune a molti di noi.
Quando arriviamo in camera, siamo in uno stato miserrimo, senza più voglia di comprendere né reagire.
Ma noi siamo vivi. Noi siamo vivi anche grazie a gente come Peter e io non posso permettere che il suo sacrificio distrugga invece che creare.
Avvicino Edward al letto e inizio a spogliarlo.
All’inizio non reagisce, ancora preso dai suoi pensieri e dal dolore che sente per Peter, per lo spreco di una vita, di tante vite, per l’assurdità di una guerra che distrugge tutto quello che con fatica si crea. Poi sembra riaversi e improvvisamente il suo sguardo vuoto torna a focalizzarsi su di me e mi afferra le mani che cercavano di slacciargli delicatamente la camicia.
Non le scansa. Guarda quei bottoni, le sue mani, le mie mani e poi di nuovo i miei occhi.
Lentamente le lascia e porta le sue mani sui lacci delle spalline del mio vestito.
Mi accarezza dolcemente le spalle, sfiorandomi con la punta delle dita, per poi giungere di nuovo ai lacci che sembrano sciogliersi al suo tocco. Esattamente come me.
Il mio vestito cade lasciando il posto alla mia nudità.
Non mi guarda con lussuria, non c’è gioco e non c’è vergogna, mi accarezza con lo sguardo in pura adorazione.
Non riesco ad andare avanti con i bottoni, perché improvvisamente mi bacia con ardore, stringendomi e spingendo i nostri corpi, già avvinghiati, sul letto.
Sono avvolta dal lui, avvolta dal suo odore, accarezzata dalle sue mani, dai suoi capelli, dalle sue labbra febbrili. Sembra preso da una frenesia incontrollabile, mentre cerca di amare ogni centimetro di me. La stanza è piena dei nostri respiri affannosi, dei nostri gemiti, del fruscìo dei nostri corpi sulle lenzuola, del desiderio doloroso di tutto quello che non possiamo avere.
Lo stringo più che posso, lo bacio più che posso, gambe e braccia lo stringono in morse frenetiche, come a voler trattenere qualcosa che sta scivolando inesorabilmente via. Mille volte ho immaginato questo momento, mille volte ho fantasticato di scoparmi il professore, di prendere piacere da questo suo corpo perfetto, ma nulla ora ha più niente a che fare con quelle sciocche fantasie. Tutto quello che bramo ora è amare la sua anima e fare finta che per una sera lui mi ami con la stessa intensità.
Non riesco a trattenere una lacrima. La sento bagnarmi l’orecchio. Non voglio che se ne accorga. Non voglio che sappia. Non voglio che si fermi a pensare a quello che sta facendo, perché quello che sta succedendo ora è giusto. E’ così giusto che nulla è mai stato più giusto.
Ma lui si ferma e mi guarda, mi guarda così intensamente che percepisco quel sottile rigagnolo d’acqua percorso da un nuovo calore.
Si avvicina piano, respirandomi, chiudendo gli occhi per poi darmi la gioia di vederli di nuovo. Mi bacia sfiorandomi appena. Il labbro inferiore. Il labbro superiore. La mia lacrima.
Respira forte, respira troppo forte, quando si strappa malamente la camicia da dosso, mentre io riprendo i miei movimenti frenetici per tirargli via i jeans, da cui lui si libera in pochi efficienti movimenti. In brevi istanti siamo totalmente nudi, di nuovo aggrovigliati di traverso su quel letto sconosciuto, che cigola lievemente ai nostri movimenti.
Le sue labbra lasciano una scia di baci perfetti sulla mia pelle fino ai seni, che lui inizia ad amare con devozione, delicatamente, poi sempre più intensamente, fino a mordermi e a farmi urlare.
Le emozioni sono così forti, così potenti da mescolare insieme dolore e piacere in un girotondo senza fine.
E’ l’inferno. Dev’essere l’inferno. Sto bruciando senza fiamme, la mia pelle va a fuoco, tutte le mie membra ardono e quest’agonia sembra non raggiungere mai pace.
Sono posseduta, indemoniata da quest’uomo che risponde ad ogni tocco, ad ogni respiro.
Ci facciamo male, ci assaliamo, ci prendiamo senza delicatezza e io sto godendo ogni secondo di più.
“Ahh!” Quando sento la sua lingua tra le mie gambe, sono sul punto di deflagrare. E’ selvaggio, è carnale, mi fa male con le mani sulle cosce a cercare di tenermi ferma. Geme senza trattenersi, nello stesso modo in cui accade a me.
Non abbiamo più controllo.
Gli tiro i capelli. Urla. Mi scala. Mi impala in un solo colpo.
Rimaniamo immobili cercando inutilmente di riprendere fiato, entrambi con gli occhi spalancati, gli uni sugli altri, a cercare di capire, di darci una motivazione a questa completezza, a questa perfezione.
E’ il paradiso. Dev’essere il paradiso. Nulla può reggere il confronto con questo. Nulla. Mai più.
Prende a muoversi lentamente, non smettendo per un solo istante di cercare tra i miei occhi la verità. Quella verità ormai così chiara da essere innegabile.
Guardarlo mi fa male.
E’ davvero un dio. Un glorioso guerriero mitologico che sembra nascere e morire per mano di una mortale.
Lo accarezzo e lo graffio quando inizia a muoversi più velocemente, sempre di più, tra le mie gambe che cercano di avvinghiarlo in una morsa letale, incontrando ogni spinta, ogni movimento in perfetto sincronismo con i suoi.
Mi afferra forte, mi stringe forte cercando di assestare le sue potenti, perfette spinte.
E’ come se lo volessi sentire dentro di me, tutto lui dentro di me. Il mio corpo lo reclama, è come se urlasse e lui risponde ad ogni urlo, godendo, soffrendo, gemendo senza freni.
Prende ad eccitare la mia vagina con le dita, sta perdendo il controllo, il mio corpo risponde immediatamente e urlo il mio piacere immenso soffocandolo in un morso sulla sua spalla.
Esce subito da me, continua a muoversi affannosamente per inseguire il raggiungimento del suo piacere tra i nostri ventri. Mi stringe fortemente mentre impreca senza fiato. E io godo immensamente nel sentirlo così.
Mio.
***
15 Agosto 1969
Woodstock.
Sono giunta alla mia destinazione finale.
Il viaggio della vita.
E io sono morta dentro.
E’ stato bellissimo. Non c’è stato alcun momento di imbarazzo tra di noi. Non ci siamo dovuti spiegare. Non c’era niente da spiegare. Abbiamo solo preso egoisticamente tutto quello che potevamo. Ci siamo amati fino allo sfinimento. Abbiamo continuato a baciarci e a toccarci senza smettere mai. Ci siamo dati piacere più e più volte. Abbiamo riso, abbiamo giocato, abbiamo discusso. Edward ha trovato una bustina di marijuana nella mia borsa mentre cercava un fazzoletto, mi ha guardata malissimo e, senza fermarsi, l’ha buttata dal finestrino, continuando a guidare come se niente fosse successo. Ha detto che quella roba modifica la percezione sensoriale, parole sue, e quando gli ho detto che invece le enfatizza, mi ha infilato una mano tra le cosce per farmi sentire che non c’è alcun bisogno di enfatizzare niente, soprattutto non per me, infatti ho enfatizzato parecchio quando sono venuta urlando, per sua grandissima soddisfazione personale.
L’enorme senso di perdita che presto avremmo provato, è rimasto soffocato nell’angolo più nascosto delle nostre anime, sopraffatto dalla bellezza dei nostri sentimenti.
L’enorme senso di perdita che presto avremmo provato, è rimasto soffocato nell’angolo più nascosto delle nostre anime, sopraffatto dalla bellezza dei nostri sentimenti.
Giunti nelle vicinanze di Bethel, abbiamo trovato un caos di auto, camper, gente a piedi e casino in generale, più di quanto si possa immaginare. Abbiamo sistemato l’auto e siamo scesi per perderci in mezzo alla folla festante. E fumata completamente.
Edward non ha preso nulla con se, mentre io ho preso sacca e chitarra, dicendo silenziosamente addio a quel pick-up che per un po’ era stato per metà mio.
Non voglio pensare a chi apparterrà la mia metà, da quel giorno in poi. Non è giusto. Non è giusto che ci pensi e non è giusto che non sarà più mia.
Niente è più giusto.
Edward mi tiene per mano. Non mi lascia mai. E non è perché ha paura che mi accada qualcosa, è perché per il tempo che ci resta non vuole lasciarmi nemmeno per un minuto.
Qualcuno sta suonando Hey Jude, non sono i Beatles, è qualcuno che non conosco, ma la canzone la conosco bene e sembra fatta apposta per noi.
Edward si ferma, fa cadere le mie cose in terra e comincia a farmi ballare lentamente.
“E’ meraviglioso, vero?” Non alzo la voce, so che mi sente.
“Tu sei meravigliosa.” Lo sento dire perfettamente. Vedo e sento solo lui ora.
Il mio Giuda.
Le parole della canzone ora infestano la mia mente come un veleno che ramifica la sua morte.
E inizio a sussurrarle.
“Hey Jude… don’t let me down,
You have found her, now go and get her,
Remember… to let her into your heart,
Then you can start… to make it better…”
Chiudo gli occhi al suo bacio violento, possessivo, appassionato, trattenendo le lacrime e aspettando che svanisca così com’è nato. In un soffio.
“Bella Swan?” Mi volto controvoglia al suono del mio nome.
“Jasper? Alice?” Chiedo confusa.
Sono due cari amici di Forks, la città dove sono nata. E’ strano trovarli qui, ma poi non tanto visto che più hippie di loro non c’è nessuno al mondo. E sono come pane e burro, dova va l’uno, va l’altra.
Alice mi abbraccia forte. “Oh, Bella! Come sono felice di vederti qui! Come sei arrivata? Quando? Chi era il ragazzo che era con te?” Sorride.
Mi volto verso Edward.
Non c’è più.
Se n’è andato.
Mi ha baciata come Giuda e ha scelto il modo meno doloroso per scomparire.
Mi ha baciata come Giuda e ha scelto il modo meno doloroso per scomparire.
In un soffio.
Come se non fosse mai esistito.
“Nessuno.” Mormoro.
“Dai! Vieni con noi! Ci sono anche Rose, Leah e Jake! Oddio! Non ci posso credere che ci siamo trovati tutti qui!”
Raccolgo le mie cose. Non guardo più. Non cerco più. Sorrido ad Alice e la seguo senza resistenza.
***
Epov
Bella Swan.
Cantileno il suo nome nella mia mente a ripetizione, mentre guido verso New York. Ha un suono dolce, fresco, ipnotico. Esattamente com’è lei.
Non ho potuto far altro che andarmene così, spezzando quell’invisibile catena con un colpo secco e deciso. Uno solo. Un solo colpo e Bella Swan è fuori dalla mia vita per sempre.
Quando ho intrapreso questo viaggio ero sicuro di quello che volevo. Sicuro sul mio futuro. Ora, invece, non riesco a vederlo più. Lei mi ha preso, strapazzato, rivoltato, aperto gli occhi e si è donata completamente a me, rendendomi consapevole della vita, di quello che davvero voglio, dandomi accesso, anche solo per un istante a quella felicità che ho sempre cercato e mai trovato davvero, facendomi assaporare il frutto più gustoso del mondo, quello che ti rende schiavo e non ti rende appetibile più null’altro.
E’ una ragazzina. L’ho notata subito, fin dal primo giorno di corso. E’ brillante, aperta e bellissima.
Mi ha attirato a se dal primo istante. Non me ne sono reso conto fino a qualche giorno fa, ma sono un uomo fatto di carne e sangue, e so di essere sempre stato attratto da lei. Mi sforzavo di ricacciare ogni pensiero carnale indietro, ogni maledetta volta che la guardavo. Ma lei è una dea. Mi attraeva inesorabilmente. La sua mente acuta stuzzicava la mia fantasia, esaltava il mio intelletto. Il suo corpo disinibito ha reso insonni e peccaminosamente indaffarate le mie notti solitarie. Mi sono sentito sempre in colpa, dopo. Solo dopo, sì. Mentre quando sognavo di lei, il mio corpo veniva assalito da una frenesia irrefrenabile, diabolica, oscura, che ho saziato più e più volte, vergognandomi miseramente ogni volta. Dopo.
Quando l’ho vista nel bagagliaio della mia macchina ho creduto davvero che fosse un incubo, una punizione divina per tutto quello che avevo pensato e fatto con lei nella mia mente. Ed era lì, candida come un giglio, sorridente come una vergine e vestita come una ninfa: con praticamente niente addosso. Ho passato i momenti più duri, nel vero senso della parola, della mia vita. Il mio cazzo sembrava non voler mettersi mai più a riposo. Bastava un cenno, un sussurro, un semplice gesto di lei ed ero di nuovo all’inferno.
La prima sera in albergo ho fatto lo sforzo più grande della mia vita a non prenderla e farla mia non appena chiusa la porta della camera. Lei era lì, che saltava sul letto, con le scarpe, ridendo, mentre i suoi lunghi capelli scuri volavano aggraziatamente intorno a lei. L’ho rifiutata, con il mio cazzo a tanto così dall’esplodere, offeso per non aver soddisfatto le sue miserabili, brutali voglie. Ho sognato di lei, ho sognato di dire a Tanya che amavo lei, Bella, e ho sognato di fare l’amore con lei. Stavo per venire. Avrei fatto la figura del maniaco sessuale, ma per fortuna il mio angelo mi ha svegliato con i suoi gemiti. Ha travisato e io non l’ho corretta. Dovevo resistere. Ero in viaggio con lei, il mio sogno erotico e d’amore, lì accanto a me, mai ferma, mai in silenzio, mai disattenta. Le sue gambe sempre nervose e sempre scoperte. I suoi seni malcelati da minuscoli pezzettini di stoffa, e quando mi ha detto che non indossava biancheria intima volevo ammazzarmi, di seghe anche, ma volevo morire. Dentro di lei. Quando è salita con quel camionista sono impazzito di gelosia e di paura, e quando l’ho raggiunta di nuovo mi sono sentito come se avessi trovato l’acqua nel deserto.
Quando abbiamo fatto l’amore, non potevo crederci. Non riuscivo a credere a quello che provavo, a quell’intensità talmente potente da essere annientante.
Mi sono innamorato di lei in meno di due giorni. O forse mi sono innamorato dal momento che ha messo piede nella mia aula, in ritardo, salutando tutti ad alta voce, dolcemente, apertamente e con quella faccia tosta che mi ha fatto impazzire di passione da subito.
Sto andando a sposare la donna con cui ho un rapporto di ferro. E’ una gran donna, Tanya. Organizzata, efficiente, colta, ben disposta, ben inserita socialmente. Credevo di essere felice con lei, credevo di aver trovato un’affinità rara, e forse lo è, ma ora so che non basta. Forse a qualcuno sì, ma non a me. Non a me dopo che nella mia vita e capitata lei, Bella. Organizzata? Sì, nel casino. Efficiente? Sì, quando si mette in testa di sedurmi o di convincermi che la marijuana dovrebbe essere legalizzata. Colta? Sì. Lei non lo sa ancora, ma la sua mente è già piena di riferimenti, le basterebbe solo usarli in altro modo, ma non è questo che voglio da lei. Lei è fantastica esattamente così com’è. Spontanea fino all’insopportabilità, aperta fino al pericolo, curiosa fino alla scottatura, disinibita fin oltre il peccato.
Perfetta.
E non è più mia.
Il dolore acuto che provo non è paragonabile a nulla.
Ho bisogno di rendere la mia mente insensibile e il mio cuore sordo.
Arrivo nei pressi di New York, a Villa Denali.
Ci siamo.
Tanya mi viene incontro, dolce, sorridente, perfettamente vestita. E’ davvero molto bella.
“Tesoro.” Mi abbraccia calorosamente. “Mi sei mancato.” Mi lascio baciare. Devo sapere. Devo capire.
E capisco perfettamente.
“Tanya, devo parlarti.” Le dico lentamente.
“Oh. Oh-oh. Questo non fa presagire nulla di buono, di solito.” Scherza, ma le si spegne subito il sorriso quando nota che la mia espressione non cambia. “D’accordo. Vieni, andiamo dentro.”
Versa da bere per me e per lei, quando siamo in uno dei salotti della villa.
“Un colpo deciso, Edward.” Asserisce, capendo al volo.
“Non posso sposarti. Mi dispiace.” Le comunico guardandola negli occhi, non posso vergognarmi di quello che sto facendo, non c’è vergogna in questo e lei deve capirlo.
“Mh. Chi è?” Chiede con tono lievemente sarcastico.
“Tanya…”
“Oh, andiamo Edward. Ci conosciamo da troppi anni e troppo bene per non parlarci apertamente. Vuoi che faccia scene? Che ti dica che fa male? Fa male, Edward. Ma questo non cambia le cose. Non che io voglia sapere davvero chi è, ma è piuttosto ovvio che ti sia innamorato di un’altra. Mi sarebbe piaciuto saperlo prima, questo sì.”
“E’ così. Mi dispiace davvero. Non ho scuse e non potevo dirtelo prima, perché non è successo prima. Non posso sposare te quando penso ad un’altra donna, non funziona così per me, Tan, mi conosci e lo sai.”
Si siede non troppo elegantemente su una poltrona.
“Lo so. E’ una delle cose che mi ha fatto innamorare di te. Che stronzo il destino, eh? Anni insieme, tutto liscio e improvvisamente, poco prima delle nozze, ti innamori davvero. E’ così, vero Edward?”
“Lo so. E’ una delle cose che mi ha fatto innamorare di te. Che stronzo il destino, eh? Anni insieme, tutto liscio e improvvisamente, poco prima delle nozze, ti innamori davvero. E’ così, vero Edward?”
“Sì.” Sussurro.
“Resti a cena?” Chiede come se non fosse successo nulla, ma conosco le sue maschere, sta soffrendo, ma non lo darà mai a vedere.
“Ti voglio bene, Tan.” Le accarezzo una guancia e vado via.
***
16 Agosto 1969
Woodstock.
Non la troverò mai.
Ci sarà un miliardo di persone su questa collina, sono ore che cammino, cercando di individuarla, ma è come cercare un ago in un pagliaio. Ho anche chiesto informazioni ai vari venditori, cercando di descriverla e ottenendo sguardi di pietà per l’impresa assurda.
“Hey, bello, ti vedo sconvolto… tieni, fai un tiro, vedrai che andrà meglio.” Mi volto verso il ragazzo fatto che mi offre a sua canna.
La prendo. Tanto, peggio di così non può andare.
Mi siedo sul prato acanto a lui a fumare. Ci passiamo la canna ogni paio di tiri, non mi sento più rilassato e il tizio continua a chiacchierare farfugliando di viaggi. Posso solo immaginare il tipo di viaggi, ma non posso lamentarmi dato che ne sto facendo uno pure io.
“… e non puoi capire, no, bello, non puoi capire, quella matta fatta fino al midollo che ha cercato di salire sul palco, prima… si è messa a strimpellare la sua chitarra in maniera orrenda… mai sentita una così stonata in tutta la mia vita… la fischiavano tutti perché stava cantando del suo cuore spezzato e di un professore di… di lettura… di lattuga… di letteratura forse... sì… mi sembra che letteratura possa andare…”
Mi volto di scatto verso il tizio.
“Cosa?! Di chi parli?! Era Bella?” Chiedo afferrandolo per la camicia.
“Oh sììì… era davvero bella…” Bofonchia beatamente.
Cazzo, è ovvio che non capisce la differenza tra Bella e bella, e ora sono talmente suonato anch’io da non riuscire a spiegarmi, così lo tiro su. Deve aiutarmi.
“Sai dov’è? Portami da lei!” Cerco di convincerlo.
“Owww… noo… lasciala stare quella… te l’ho detto che è matta…”
“Lo so, ma per favore, ti imploro, portami da lei.”
“Ok, contento tu…”
Camminiamo fino ad arrivare ad una fila di camper posteggiati su un lato della collina.
“Eccola, la vedi? E’ quella. Vedi che è matta?”
Bella…
E’ lei. E’ seduta sul tetto di un camper, indossa una vistosa parrucca riccia, sta suonando la chitarra e… sta fumando una canna. Mi aveva detto che non aveva mai fumato.
Corro nella sua direzione e arrivato a lato del camper, salgo dalla scaletta laterale.
Le prendo la canna e la butto di sotto.
“Hey!” Si volta dalla mia parte e lentamente strabuzza gli occhi e spalanca la bocca. “Edward?...” Sussurra.
Le sorrido senza dirle nulla.
“Oh no…” Si imbroncia.
Cosa? Non è contenta? Oh cazzo, le ho davvero spezzato il cuore. E’ finita.
“JASPER!!!” Esclama improvvisamente guardando verso il basso e togliendosi malamente l’enorme parrucca riccioluta. “MI AVEVI DETTO CHE QUESTA ROBA ERA INNOCUA! INNOCUA STO CAZZO! MI HA FATTO VENIRE LE ALLUCINAZIONI!!!” Si alza in piedi mettendo le mani sui fianchi, poi alza il dito medio in sua direzione.
Ed è bella da morire.
“Bella, amore, sono io.” Le afferro le braccia e la guardo negli occhi per vedere quanto sono dilatate le sue pupille, ma non lo sono molto, in realtà.
Lei guarda prima le mie mani sulle sue braccia e poi mi guarda negli occhi di nuovo.
“Edward? Sei davvero tu? Non… non sei un’allucinazione?” Chiede mentre le trema il mento.
“Sono io. Sono qui. Sono qui con te.” Le sorrido e cerco di stringerla a me, ma lei improvvisamente si ricorda di qualcosa e si scansa bruscamente.
“Che giorno è?” Chiede con cautela.
“Il sedici.” Le dico io capendo come sta ragionando.
“E che ci fai qui?”
“Non mi sono sposato, Bella. Ti amo. Non voglio sposare Tanya. Voglio te. Voglio sposare te.” Le spiego con dolcezza.
“Mi ami?” Chiede con sconcerto.
“Ti amo.” Le sussurro.
“Dammi un pizzicotto.” Continua a guardarmi come se fossi un marziano.
E io la pizzico. Sul culo.
“Ahi!!! Oh… Ti amo anch’io, professor Cullen!” Le si dipinge sul viso il più radioso dei sorrisi, poi mi si avventa addosso e mi bacia, annientando come al solito ogni facoltà razionale che pensavo di possedere. Finchè non è comparsa lei.
La bacio con la consapevolezza che stavolta non ci potrà separare più nulla, dandomi completamente a lei, che mi prende senza risparmio.
D’improvviso si stacca da me.
“Edward Cullen. Tu hai fumato una canna.” Mi accusa, puntandomi ripetutamente un dito sul petto.
“Eh… io… sì.”
“Oh! E allora mi spieghi perché diavolo hai buttato la mia?!” Esclama accigliandosi.
E io la prendo tra le braccia, portandola con me a sdraiarsi sul tetto di quel ridicolo camper colorato, sussurrandole parole d’amore, amandola senza curarmi di nessuno, sorridendo, parlandole dei nostri per sempre e proibendole di fumare marijuana, con suo grande disappunto.
***
Bpov
Centomila a centomila.
Pari.
Ma ho comunque vinto io.
Fine.
io adoro le tue one-shot,ma quando aggiorni il manganello,il mio desiderio è vederla finita sarà possibile???...
RispondiEliminaP.S. mi dici come entrare nei blog privati per favore? un bacio
presto! non so nulla dei blog privati, se mi dici cosa cerchi nello specifico, magari posso aiutarti.
RispondiEliminagrazie per aver risposto al mio commento sei stata gentilissima,sono contenta che il manganello sarà conclusa
RispondiEliminaper i blog privati vorrei entrare in quello di Nighittina e Cricrilla mi puoi aiutare??? GRAZIE e un bacio (scusa il disturbo)...
credo che abbiano tolto le loro storie perchè in pubblicazione con case editrici :(
EliminaCiao!! Scrivo qui perché non so dove altro farlo, ma il profilo JOEL e la storia sinner dove la posso recuperare? Saranno 6 anni che la cerco
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